IL MIO VIAGGIO IN ISLANDA - ep.10
tutti i cuori d' Islanda
di Salvatore Marra
12 Agosto 2018
Sette giorni.
No, non è la citazione celebre di un noto film cult-horror di qualche anno fa.
Era trascorsa esattamente una settimana dal nostro arrivo in terra islandese.
“Siamo qui a vagare in Islanda da sette giorni. Ma serio?? A me sembra passato un mese! Mi sembra davvero di essere qui da un sacco di tempo. Voglio dire, ne sono successe di cose e ne abbiamo visti di luoghi” dissi a Manu, mentre consumavamo una ricca colazione, gentilmente offerta dalla nostra padrona di casa, nel grazioso appartamento dove alloggiammo quella notte (trovi l’annuncio su airbnb qui).
Eravamo giunti a nord, nella città di Akureyri (punto A nella mappa), dopo aver percorso quasi tre quarti della ring road, la ormai per noi leggendaria statale n.1 a forma di anello che circonda per intero l’isola.
Ci eravamo lasciati alle spalle esperienze intense e meraviglie di ogni genere, e avevamo macinato circa 1200 chilometri fino a quel giorno con la nostra semplice utilitaria.
Ghiacciai, cascate, geysers, parchi, spiagge nere, ghiacciai, tantissimi animali. Riscaldati da un inaspettato Sole e ammaliati da immensi prati verdi, respirato aria freschissima, tuffati in rilassanti e rigeneranti pozze di acqua calda, stupiti da montagne coloratissime, fumarole, vulcani e tramonti da sogno.
Ogni mattina mi svegliavo con tutti questi ricordi ancora freschi e nitidi nella mia testa, e sempre più numerosi man mano che la nostra avventura proseguiva.
La giornata che ci attendeva fu la più breve in termini di chilometri percorsi, e anche la meno fitta in termini di tappe programmate.
Ma fu la più romantica di tutte. Senza alcun dubbio.

L’evento principale di quel giorno fu il whale watching, ovvero l’escursione in nave nel Mar di Groenlandia per l’avvistamento delle balene.
Ci sono diverse compagnie locali che organizzano questo tipo di esperienza in varie località del nord dell’Islanda, non sono ad Akureyri ma anche ad Husavik o nella stessa capitale Reyjkavik.
Navigando su internet, trovai un po’ per caso la piccola compagnia Keli Sea Tours, che ha sede proprio ad Akureyri e che offre escursioni di tre ore circa, a prezzi onesti e decisamente competitivi rispetto alle altre compagnie in zona.
Avendo pianificato uno dei soggiorni proprio nella suddetta città, fu facile incastrare questa gita nel nostro programma, di mattina e al costo di circa 65 euro a persona. Non poco ma decisamente meno rispetto ad altri tour simili, per i quali arrivarono a chiederci quasi 100 euro a biglietto.
Non si può parlare di balene senza un accenno riguardante la triste e aberrante caccia che subiscono questi mammiferi da tempo immemore.
L’ Islanda purtroppo ha recentemente ripreso attivamente questa crudele mattanza, dopo anni di stop.
Una pratica senza senso, crudele, e senza alcun vero profitto, dai costi estremamente elevati, con seri rischi per la sopravvivenza di questi cetacei e gravi danni per interi ecosistemi, in tutto il mondo.
Non entro troppo nel merito dell’argomento, perché decisamente molto complesso e molto più grande di me, davvero troppo per questo mio piccolo e modesto articolo del mio blog.
Quello che però posso portare in questo mio racconto è la mia esperienza; la percezione che ebbi nell’osservare con i miei occhi come dei semplici islandesi comuni si approccino realmente a questi giganti del mare. Senza pregiudizi.
Avevamo appuntamento per l’inizio della gita in barca direttamente nel porto di Akureyri, alle 9 in punto.
Dopo un po’ di fatica individuammo il punto esatto dove ci attendeva già la nostra guida, a bordo di un piccolo suv da sette posti. Un signore brizzolato e in forma, avrà avuto una cinquantina d’anni. Il classico lupo di mare, con un bellissimo maglione islandese di lana e una giacca a vento spessa e resistente. L’outifit di chi è pronto per salpare in nave nel Mar di Groenlandia.

Ci guidò verso l’altra sponda del bellissimo fiordo di Akureyri. Davvero bello, non c’è che dire.

Eravamo arrivati in città la sera prima sul tardi, senza aver avuto il tempo di esplorare la zona, per cui solo il mattino seguente la baia ci apparve nitida in tutto il suo splendore.


Arrivammo in un modesto porticciolo dove era ormeggiata una piccola e graziosa barca. Una decina di passeggeri era già presenti e pronti di salire, con addosso un’enorme tuta impermeabile, rossa e alquanto ingombrante.

In appena cinque minuti il cielo mutò radicalmente, ed iniziammo a temere per la buona riuscita dell’escursione. In realtà si rivelò una foschia non particolarmente fitta, rendendo il cielo grigio ma con una buona visibilità e senza vento. Pericolo scampato.
Resta il fatto che il tempo cambiò in un attimo, dal cielo sereno al grigiume in pochi minuti.
This is Iceland!
Un altro signore, più giovane del nostro autista, soprannominato subito “The Viking Man” per via del suo aspetto, barbuto e robusto, dava indicazioni varie alle persone.
Ci fecero dunque salire a bordo e diedero anche a noi queste curiose tute antivento, antigelo, antiestetiche, anti-tutto insomma.
Credetemi, mai indossato niente di più coprente e isolante! Ma nonostante la grossa mole di abbigliamento, non sentivo nè caldo nè freddo, nè mi sentivo ostacolato nei movimenti. Dei veri indumenti tecnici e efficaci, non c’è che dire.
Anche perchè la loro vera utilità la capii solo una volta in mare aperto : ci scontrammo subito con dell’aria fredda e pungente, difficile da sopportare per tre lunghe ore senza una attrezzatura adeguata.
Ci offrirono un discreto infuso caldo, per poi partire subito alla ricerca delle balene in mare aperto.

Iniziarono quindi ad illustrarci le varie specie di cetacei presenti in quella zona, e che dunque avremmo cercato di avvistare quella mattina.
La piccola ma graziosa nave si chiamava Àskell Egilsson, e quando i due comandanti iniziarono a raccontarci la loro storia, capimmo il perchè.
Scoprimmo che i due erano in realtà fratelli, e che da poco avevano recuperato e rimesso a nuovo l’antica e bellissima imbarcazione di loro padre, Àskell Egilsson.

Ci guidarono per quasi tre ore nelle gelide acque del Mar di Groenlandia, e con nostro enorme stupore avvistammo circa una ventina di balene!
Alcune distanti, altre vicinissime, a pochi metri da noi.
Maestose.
Imponenti.
Con le loro pinne larghe e lucide, sembravano danzare tra un’onda ed un altra, esibendosi di fronte a noi come dei perfetti ballerini di danza classica.

Fu bellissimo.
E tre ore volarono…in un baleno.
Verso fine escursione, il più giovane dei due fratelli (the viking man) si avvicinò e mi chiese se ero soddisfatto dell’ esperienza.
Risposi che ne ero rimasto entusiasta, e che era andata ben oltre le mie aspettative. Non avrei mai pensato di avvistare cosi tante balene in poche ore.
Lui sorrise, mentre fissava il mare di fronte a noi, in silenzio.
Dopo un po’, riprese a parlarmi.
“Di balene ne ho viste tantissime nella mia vita, forse migliaia. Eppure ogni volta è come se fosse per me la prima volta. Sono la mia vita. Il mare è la mia vita”.
Puntando il suo dito indice della mano destra verso il mare, continuò a raccontarsi, come un libro aperto.
“Lo vedi questo punto di fronte a noi? Qui abbiamo sparso le ceneri di nostro padre sedici anni fa. Questa barca è lui, è lui che ci guida durante ogni nostra uscita. E so che sarebbe fiero di noi adesso”.
Inutile commentare. Inutile provare a raccontarvi i suoi occhi lucidi mentre mi parlava.
Inutile tutto il resto.
Solo e soltanto due parole sono stato in grado di dirgli : grazie mille!

Terminammo la nostra escursione intorno a mezzogiorno.
Erano state tre ore intense ed emozionanti, e sentimmo il bisogno vitale di camminare un po’ prima di pranzo.
Rientrati in città e con il clima nuovamente sereno (incredibile!), decidemmo quindi di fare due passi, prima di fare rientro in appartamento, distante circa un paio di chilometri dal porto.
Akureyri è piccola ma davvero carina, con tantissime casette colorate, blu, rosse, gialle, grigie.
A quell’ora e con il cielo azzurro mi trasmise una sensazione di quiete davvero piacevole.


Un particolare che non dimenticherò facilmente si palesò subito dopo pochi passi, nei pressi di un incrocio della città.
Intenti ad attraversare la strada su delle strisce pedonali, alzai lo sguardo per osservare il semaforo. E notai subito che, al posto della classica luce rossa per lo stop dei veicoli, vi era un bellissimo cuore.

Trovai questo dettaglio meraviglioso!
Successivamente notammo che quasi tutti i semafori del centro presentavano il cuore come simbolo di stop.
Una vera chicca particolare, che mi divertì, e mi fece sorridere in maniera quasi infantile.
Il semaforo è uno di quegli oggetti che tutti abbiamo odiato o maledetto almeno una volta. Mentre siamo incolonnati lungo una strada affollata, nel traffico congestionato di metropoli frenetiche e stressanti. E con il verde che sembra ogni volta durare pochissimo, al contrario invece di quel rosso, infinito.
Suoniamo clacson, inveiamo contro automobilisti lenti e sbadati, o troppo maleducati, in perenne ritardo, ogni giorno. Ebbene, forse la vista di un semplice cuore rosso non renderebbe quelle attese meno interminabili, ma vi assicuro che risulta molto piacevole, e fa sorridere. Sarebbe bello incontrare un cuore del genere anche nelle nostre grandi città.
E magari fissarlo da dentro la macchina, come in questa foto, che non è perfetta ma cattura bene il momento.
Dimenticandoci per un attimo dello stress e della fretta e sorridendo, anche solo per qualche secondo, invece di controllare pericolosamente i nostri cellulari.
In attesa che appaia al suo posto la tanto attesa luce verde.
Un semplice cuore rosso, un simbolo universale ed elementare. Ed un’ idea potentissima e geniale, come solo le cose semplici e naturali sanno essere.
Ve l’avevo detto che sarebbe stata la giornata più romantica del nostro viaggio?
Dopo questo piccolo aneddoto direi che non ci sono più dubbi al riguardo.
Il resto della giornata fu caratterizzato da una piacevole pomeriggio alla guida, diretti verso l’Ovest dell’isola.

Sostammo parecchie volte in diversi punti panoramici strepitosi, per scattare foto, girare video o semplicemente rilassarci e godere di quei luoghi.

Senza fretta, senza programmi, senza una vera e propria linea guida.
Avevamo soltanto l’indirizzo del nostro prossimo alloggio da raggiungere, l’Hvammstangi Hostel, a qualunque orario volessimo.

Fu probabilmente il pomeriggio più semplice ma allo stesso tempo il più “islandese” di tutto il nostro viaggio.

Bisogna a mio avviso concedersi queste pause quando si visita l’Islanda. In questo modo la si scopre e la si vive di più, senza alcun dubbio.

Facemmo il pieno di paesaggi e di natura, e intorno alle 19 arrivammo a destinazione.
Hvammstangi è un piccolo villaggio posizionato all’interno del fiordo Miðfjörður, a circa 200 chilometri da Akureyri.

Un paesino un po’ desolante e decisamente anonimo, fatto di poche case lungo un’unica strada principale, una piccola chiesetta, una scuola con annesso un giardinetto, e un piccolo molo in riva al mare con un paio di ristorantini.

Provai ad immaginare la giornata tipo di un abitante di quel luogo, soprattutto durante il periodo invernale. Sicuramente uno stile di vita estremamente distante dal nostro.

Dopo un rapido self check-in presso l’Hvammstangi Hostel, un ostello nuovo e pulitissimo, decidemmo di fare due passi prima di cena.
Non c’era quasi nessuno in giro e, dopo una breve perlustrazione, decidemmo di spostarci in macchina verso il mare.
Erano circa le 21 e c’era ancora decisamente tanta luce, ma con una foschia che via via andava ad aumentare.
Vagando un po’ a caso, trovammo un piccolo spiazzale sulla riva, con un tavolo e due panche di legno, la classica installazione da picnic.

Ci sedemmo ad ammirare l’ opaco paesaggio.
Anche se in totale assenza di vento, faceva freddino quella sera; tuttavia non avevamo ancora voglia di rientrare in ostello, e restammo seduti lì, a metabolizzare l’ennesima giornata incredibile trascorsa.
Bevemmo due dei nostri ormai mitici bicchierini di limoncello (leggi qui come abbiamo fatto a procurarcelo), e tentammo una insperata quanto improbabile videochiamata con un nostro caro amico di Ancona, senza però riuscire nell’intento.
Ma fu divertente vederci a scatti anche solo per qualche minuto. Lui in canotta, ad una festa in un lido della riviera romagnola; noi tutti bardati, con k-way e cappello, sperduti appena sotto il Circolo Polare Artico.

E alla fine i bicchierini furono più di due, e la nostra domenica sera prima di ferragosto fu perfetta così.
Un’altra giornata ricca di emozioni era giunta al termine.
Ne avevamo davanti ancora un altro paio, dopodichè il nostro viaggio in quella terra magica sarebbe terminato.
Ci attendeva ancora un territorio magnifico da esplorare : la penisola di Snaefellsnes.
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