IL MIO VIAGGIO IN ISLANDA - ep.11

la penisola di Snaefellsnes

di Salvatore Marra

13 Agosto 2018

La nostra prima tappa al mattino fu la KIDKA Wool Factory, una piccola fabbrica tessile produttrice di capi di abbigliamento in lana, situata proprio ad Hvammstangi, la città dove avevamo pernottato la notte prima (clicca qui per leggere l’episodio precedente).

Ho sempre pensato che il miglior souvenir da acquistare fosse proprio uno dei famosi e caldi maglioni di lana islandesi. Un capo di abbigliamento decisamente tradizione in Islanda, ahimè molto caro ma vi assicuro in genere di altissima qualità.

E poichè ero riuscito a risparmiare qua e là abbastanza e a rimanere al di sotto del mio budget di partenza prefissato, decisi di concedermi questo regalo.

Tuttavia non volevo assolutamente ripiegare su un acquisto in uno dei tanti negozi turistici di Reykjavik, tra l’altro a prezzi sicuramente maggiorati, ma volevo che quel regalo fosse il più caratteristico possibile, acquistato durante il nostro tour, in qualche negozietto situato al di fuori dai classici sentieri battuti.

L’ occasione si presentò come al solito per caso, proprio durante il nostro soggiorno in quel piccolo villaggio del nord. Molto anonimo e per niente turistico. Quindi perfetto.
Ci fu segnalato dalla nostra host di Akureyri, quando venne a sapere della nostra sosta prevista ad Hvammstangi il giorno seguente.

“You must go there! It is pretty cute!” era stato il suo commento. Così deciso che mi convinse e mi fidai.
E feci bene.

La Kidka Wool Factory è una piccola fabbrichetta, con annesso un punto vendita all’interno del quale si possono provare e acquistare i capi.

E’ possibile accedere anche all’area adibita alla produzione, visionare i macchinari tessili e gli addetti mentre sono all’opera.

Molto interessante. 

Di maglioni belli e morbidosi ce n’erano a bizzeffe, e ne avrei presi più di uno. Impossibile però, sia per il mio portafoglio, considerando che i prezzi partivano da circa 120 euro a maglione (il mio ne costava 145 di listino, ma riuscii a spendere meno, come vi spiegherò a breve) sia perchè tutti non ci sarebbero stati dentro il mio zaino, già stracolmo in partenza.

Alla fine, dopo varie indecisioni, presi un maglione con zip e cappuccio e con disegnati dei cavalli islandesi. Abbastanza versatile,  anche da indossare in città in inverno, a differenza di altri che, sebbene bellissimi, trovavo troppo montanari e ingombranti.

Mi piacque cosi tanto che lo indossai praticamente quasi sempre da quel momento fino alla termine del viaggio. Di giorno, con quel maglione e una semplice t-shirt sotto stavo benissimo. Al momento di pagare scoprii che era possibile richiedere il rimborso di una parte dell’IVA (che in Islanda si attesta al 25%) sull’acquisto del capo, una volta giunto in aeroporto prima di rientrare in Italia. E’ una legge islandese applicabile su determinati  prodotti acquistati in alcuni negozi, di fronte ad una spesa pari o superiore alle 4000 corone islandesi, ovvero circa 30 euro. Va richiesto espressamente al commerciante, che stampa uno scontrino ad hoc, sul quale viene indicato esattamente l’ammontare del rimborso, e in cui vengono inseriti i dati del proprio passaporto e della propria carta di credito, come garanzia.

Per poter poi riscuotere la somma bisogna recarsi in un ufficio apposito in aeroporto prima dei controlli di sicurezza e presentare lo scontrino. Io così feci e ricevetti dopo qualche giorno un rimborso di circa 30 euro direttamente sul mio conto bancario. Non male no?

Dopo essere riuscito a fare shopping anche in Islanda, era giunto il momento però di rimetterci in marcia.

Quel giorno, il penultimo ahimè sull’isola, fu completamente dedicato all’esplorazione di un territorio molto particolare e ricco di bellezze naturali e non solo, tanto da esser soprannominato una sorta di “Islanda in miniatura”. 

Sto parlando della Penisola di Snaefellsnes.

il percorso di giornata

E’ situata poco più a nord della capitale, stretta e lunga poco meno di cento chilometri, nella quale c’è un po’ di tutto  : cascate, ghiacciai, vulcani, montagne dalle forme più strane, prati verdi, cavalli dalle lunghe e lucide criniere e tanti altri animali in libertà.

Nebbia in continua alternanza col cielo azzurro e con il Sole, fattorie sparse qua e là e soprattutto la costante più costante di tutte : tanta pace e tanta tranquillità. 

Il Silenzio fu presente un po’ ovunque durante questa giornata. Incontrammo più animali che turisti, e i pochi suoni e che udimmo furono rappresentati dai loro versi, oltre che dall’unica stazione radio islandese che riuscivamo a captare in macchina, e che ormai ci accompagnava da giorni.

Questo mi sorprese, perchè facevo della Penisola di Snaefellsnes una zona abbastanza turistica e conosciuta.
Di turisti difatti ne incontrammo prevalentemente nei pressi del monte Kirkjufell.
Famosissimo. E oggettivamente splendido. Con questa sua forma affusolata e slanciata, indefinibile.

Luogo ricco di leggende e di miti, mi incantò non poco.

In estate è verdissimo, con sfumature marroni e arancioni, costeggiato da un torrente che forma delle piccole cascate. Protagonisti da diverso tempo di numerosi scatti fotografici, altamente “instagrammabili” e facilmente visionabili in rete nei vari social.

Chiusi gli occhi di fronte al monte, e provai ad immaginarmi sempre lì, ma in inverno. Con tutto il Kirkjufell coperto dalla neve. E di notte, con una gigantesca e fantasmagorica aurora boreale sopra la mia testa. La grande assente di questa nostra straordinaria avventura.

Di fronte a quel sogno rabbrividii, e capii in quell’istante che l’isola ormai mi aveva conquistato. 
Mi stava sussurrando lentamente di tornare a trovarla presto, come se avesse intuito che di lì a breve tempo ci saremmo dovuti salutare. 

L’ aurora fu la grande assente di questo viaggio, per ovvi motivi.

E’ scientificamente impossibile ammirarla in Estate, proprio perchè per apparire fulgida ai nostri occhi necessita di buio, oltre che di cieli tersi e sereni.

Diciamo che fino a Ferragosto le probabilità di beccarla sono pari a zero.

Dalla seconda metà di Agosto in poi si può iniziare a sperare in un colpo di fortuna, e man a mano che le giornate si accorciano le chances aumentano sempre di più, finchè non sopraggiunge l’Autunno e poi l’ Inverno, la stagione delle aurore per eccellenza.

Next time. Prossima volta, sicuramente. E spero presto.

Il tempo di un piccolo pranzo buttati su un prato di fronte al monte che ci rimettemmo in cammino.
Anche quel giorno senza una vera e propria scaletta. Ormai avevamo imparato la lezione.
L’Islanda va scoperta. 

Programmi, orari, tabelle di marcia fitte e scandite, servono a poco.

Certamente ti danno una mano, soprattutto all’inizio, per sentirti tranquillo e al sicuro, ma dopo solo qualche giorno di ambientamento capisci che il bello del visitare l’Islanda è lasciarsi andare e cambiare idea ogni due per tre, un po’ come il clima del resto.

Penso che questa sorta di regola generale dovrebbe valere più o meno sempre quando si viaggia, io per lo meno cerco di impormela spesso, ma poche volte riesco a seguirla davvero come vorrei.
In Islanda invece avvenne naturalmente. Fu quasi una necessità.

Ed è cosi che per caso che ci trovammo di fronte una altissima antenna radio, che solo dopo aver consultato la nostra mappa scoprimmo essere di proprietà della Hellissandur Radio, e che con i suoi 412 metri di altezza rappresenta la struttura più alta dell’Europa Occidentale. La si intravede già diversi chilometri prima una volta giunti ai suoi piedi si fa davvero fatica ad osservarla tutta, figuriamoci a fotografarla per intero.

E allo stesso modo per caso finimmo in cima ad cratere, che notammo sulla destra, mentre eravamo intenti a percorrere la strada Útnesvegur, nella zona più occidentale della penisola.

Anche in questo caso scoprimmo in secondo momento che si trattava del cratere Saxhóll

Con un semplice passeggiata di pochi minuti in salita su di una passerella, si raggiunge un panorama a 360 gradi davvero mozzafiato, che consiglio a chiunque si trovi di passaggio da quelle parti.

Non per caso invece raggiungemmo vero tardo pomeriggio la chiesa più famosa e più fotografata d’Islanda, unica punto che avevamo segnato sulla mappa quel giorno : Búðakirkja.

Quando la vidi capii finalmente il perchè fosse così fotografata da anni. La forte spiritualità che emana, accostata ad un look molto dark dalle evidenti sfumature macabre, la rende carica di una potenza allegorica fuori dal comune. Sullo sfondo un paesaggio malinconico, a completare e contemplare lo scenario.

La trovammo chiusa, con un piccolo cimitero al suo fianco perfettamente curato, e tutto intorno un incessante silenzio.

Fu l’ennesimo momento, in un nuovo luogo magico, che credo non dimenticherò mai.
Le nuvole sopra le nostre teste si fecero scure, cariche di un’imminente pioggia che non tardò ad arrivare, quasi a voler suggellare quell’incontro.

Erano le sette di sera e decidemmo di raggiungere la fattoria dove avremmo alloggiato quella notte. La sua ubicazione non era ben chiara. L’annuncio di airbnb non fu molto di aiuto, ma di sicuro doveva trovarsi in un punto non lontano dalla strada n. 54, la statale principale della penisola.

Per cui ci rimettemmo alla guida, sperando di incontrare delle indicazioni più precise durante il tragitto.
Indicazioni che non tardarono ad arrivare, una mezz’oretta dopo aver lasciato la chiesa.
Eravamo in una zona parecchio disabitata. I pochissimi centri abitati erano sparsi, e talvolta distanti parecchi chilometri gli uni dagli altri, e si trattava come al solito di piccoli agglomerati di case.
Intorno a noi una natura incredibile.

Incontrammo più che altro fattorie isolate in aperta campagna; una di queste era il nostra (trovi l’annuncio di airbnb qui).

La riconobbi grazie ad una insegna sgangherata, la quale invitava a seguire una stradina che dopo poche centinaia di metri ci condusse al casolare.

Era un piccolo villino circondato da campi coltivati, e con una stalla non poco distante, dalla quale provenivano evidenti nitriti di cavalli e grugniti di maiali.

La nostra host ci accolse con un sorriso enorme. Una signora bionda, sulla cinquantina.
Era seduta su una sedia a dondolo nella veranda di ingresso, impegnata a cucire un maglione di lana.
Appena capì che eravamo italiani il suo sorriso si fece ancora più marcato. Amava l’Italia, aveva vissuto per alcuni mesi a Verona diversi anni fa; tentò a comporre qualche frase di senso compiuto nella nostra lingua, con scarso successo, ma fu tenera e accogliente.

Ci mostrò la casa, davvero carina, con un piccolo salottino per gli ospiti, subito dopo l’ingresso a sinistra, una cucina ampia e luminosa, due bagni, e ben cinque camere, tre delle quali riservate ai loro ospiti. Una di queste era la nostra.

Diversi angoli della casa erano ornati da oggetti e scritte legati al mondo del cinema e delle fiabe. Riconobbi citazioni di Albus Dumbledore, il Professor Silente della Saga di Harry Potter, e altre appartenenti alla famosa serie Games of Thrones.

I suoi figli adolescenti, che spuntarono poco dopo dalle loro camere, erano degli appassionati del genere. 
Verso ora di cena rientrò anche il marito, impegnato fino ad allora ad occuparsi del bestiame.
Un signore di poche parole ma anch’egli molto sorridente.

In questa atmosfera così tranquilla e pacifica, ci rilassammo con un bel piatto di pasta per cena, mentre fuori il cielo si fece sempre più scuro e la pioggia andava via via aumentando.

Fu probabilmente la serata più fredda e grigia di tutto il viaggio, e capitò proprio nella giornata più dark in assoluto.

Le concidenze, a volte.

Con un velo di malinconia verso un viaggio che ormai era agli sgoccioli, ma con la convinzione di volermi godere quella fantastica esperienza in ogni suo istante, fino alla fine.

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