IL MIO VIAGGIO IN ISLANDA - ep.12

l' Isola Esiste

di Salvatore Marra

14 Agosto 2018

L’utimo giorno della nostra avventura in Islanda fu un mix di stupore e smarrimento, Sole e pioggia,  relax e fatica, gioia e malinconia.

In pratica, tutto il nostro viaggio concentrato in  24 ore.

Il risveglio non fu tanto diverso da tutti gli altri inizi di giornata.

In piedi intorno alle 9, con un’ abbondante colazione, grazie alla fornitissima cucina della fattoria in cui eravamo ospiti. Una bella doccia calda, e fuori un clima che si preannunciava imprevedibile, con un cielo velato, una leggera brezza e una pioggerellina che andava e veniva.

Niente di strano insomma, niente di eclatante.

Se non fosse che in cuor nostro sapevamo che era l’ultimo giorno. Le ultime 24 ore prima del rientro a casa, prima del ritorno alla “realtà”,  percepita così lontana durante quei dieci giorni, senza alcuna fatica nè troppa nostalgia.

Soprattutto Manu, che da una settimana era rimasta senza cellulare, perso (probabilmente) in un parcheggio poco prima di partire alla volta di Landmannalaugar  (vedi l’episodio su Landmannalaugar qui).

Un viaggio totalizzante per lei, anacronistico, senza quasi alcun contatto con l’Italia, se non tramite me.
Fuori dal mondo, ma in realtà dentro il mondo, molto più di me. Tra natura e meraviglie.
Ed io al suo fianco, cercando di immergermi il più possibile come lei nell’isola, senza troppi filtri.
Anche durante quell’ ultimo giorno.


Iniziò a piovere, anche parecchio.

Ma il clima ormai non era più un problema, era diventato solo un dettaglio, passato ormai ampiamente in secondo piano. Un po’ per abitudine, un po’ per necessità. E chi è stato in Islanda sa a cosa mi riferisco.
“Dove si va stamattina?Proviamo a girovagare un po’ senza meta nei dintorni o ci avviamo spediti verso la capitale?” fece Manu, mentre preparava con la solita cura i panini per il pranzo.
“Sto leggendo un articolo interessante, in cui si parla di una colonia di foche che, se la mia mappa non mente, dovrebbe trovarsi ad appena cinque chilometri da qui! Si va?”, feci io a Manu mentre leggevo sul mio smartphone.

Ovviamente la risposta fu si, sopratutto dopo che anche la nostra padrona di casa ci confermò l’esistenza di questa colonia, e ci consigliò vivamente di farci un salto, data l’estrema vicinanza.
Tempo di caricare la nostra roba in macchina e salutati calorosamente la gentile signora e i suoi figli, in dieci minuti netti di guida eravamo già giunti a destinazione.

la spiaggia Ytri Tunga (penisola di Snaefellsnes)

Una spiaggia isolata, ma facile da raggiungere.

Parcheggiammo alla fine della strada asfaltata e ci avventurammo lungo un piccolo sentiero che conduceva in riva al mare, distante qualche centinaio di metri.

La calma e il silenzio regnavano sovrani, caratteristiche ormai a noi familiari da diversi giorni.
Fin quando non udimmo in lontananza degli strani versi, simili a dei lamenti di cani…ma non erano cani, bensì proprio le foche che stavamo cercando!

Ne vidi una adagiata su uno scoglio, sebbene fosse perfettamente mimetizzata tra i colori della natura circostante. Poi un’altra subito di fianco, entrambe ferme e spaparanzate. E poi ecco una terza sbucare con la testa dall’acqua.

In realtà erano molte di più, ne contai alla fine una ventina! Dato il loro pigmento grigiastro e il loro stare spesso immobili, si mimetizzavano molto tra gli scogli, complici anche il cielo plumbeo e la pioggia che non aiutavano di certo a distinguerle.

Ogni tanto qualcuna si muoveva e tentava un tuffo, o delle semplici attraversate da uno scoglio ad un altro. Troppo carine e buffe.

Mi appollaiai su uno scoglio, a poca distanza da un bel gruppo nutrito, e credo di aver trascorso almeno venti minuti solo a scattare foto.

Sembrava si fossero messe in posa  su quella spiaggia per me, non si poteva non approfittarne!
Ero talmente preso e soddisfatto, che non mi accorsi che nel frattempo la pioggia era decisamente aumentata e che il mio impermeabile (santo subito, uno dei miei migliori acquisti dell’ultimo decennio) era completamente bagnato.

“Oook forse è il caso di andare Sà, che dici?” fece Manu, rimasta una decina di metri dietro di me.

La spiaggia in questione si chiama Ytri Tunga e merita assolutamente una piccola sosta se si è di passaggio lungo la penisola di Snaefellsnes.

Divertiti dopo questo breve e simpatico incontro, ripartimmo a bordo della nostra fedele Panda, la cui targa, sebbene  barcollante fin dal primo giorno, continuava a resistere egregiamente.
Ci lasciammo alle spalle la penisola, diretti verso Sud.

Reykjavik era distante un centinaio di chilometri soltanto : il cerchio si stava per chiudere, inesorabilmente.

Ma non era ancora giunto il momento di rientrare nella capitale. Avevamo ancora da scoprire un luogo magico, l’ennesimo di quell’isola delle meraviglie. 

il percorso di giornata

Sto parlando del fiordo Hvalfjordur e soprattutto della cascata Glymur (B), che con i suoi 198 metri di salto, è la cascata più alta di tutta l’Islanda.

La più alta ma anche una delle più snobbate, molto spesso esclusa dai classici itinerari turistici, per almeno due motivi.

Il primo è strettamente logistico. Il fiordo è considerato spesso un luogo di passaggio da molti viaggiatori, proprio perchè a metà strada tra Reykjavik e la più nota penisola di Sneafellsnes, e neanche troppo distante dal famoso Circolo D’oro, la meta turistica per eccellenza.

Inoltre, la presenza di un tunnel sottomarino, permette di bypassare completamente il fiordo, che viene perciò spesso dimenticato o tralasciato.

Il secondo motivo è rappresentato dal non facile e per niente banale trekking per raggiungere la cascata.
Il percorso non è particolarmente lungo (dura circa un’ora) ma è abbastanza tortuoso e non accessibile a tutti.

In particolare prevede l’attraversamento di un torrente tramite un tronco di albero adagiato sul fondale, non propriamente stabile, e con il sostegno di una semplice fune alla quale aggrapparsi, per cercare di non terminare l’escursione anzitempo in acqua.

Ovviamente noi eravamo, neanche a dirlo, completamente ignari di tutti questi dettagli riguardanti il sentiero che conduceva alla cascata!

Ma l’idea di esplorare un luogo poco battuto dai turisti era per noi troppo allettante.

Concludere il nostro viaggio con un trekking un po’ wild e immersi nella natura non poteva che essere a nostro avviso la scelta migliore.

E fu una scelta azzeccatissima infatti.

A partire dalla strada intorno al fiordo : meravigliosa.

Un’ aria freschissima e una vegetazione rigogliosa ci accolsero fin dai primi passi, dopo aver lasciato l’auto nel solito parcheggio alla fine della strada asfaltata.

Fummo graziati anche dal clima. Nonostante il cielo grigio, smise di piovere durante quelle due-tre orette di trekking. Davvero fortunati.

Ci ritrovammo a percorrere un sentiero magnifico, attraversando boschi e perfino piccole grotte, immersi nella natura. 

E fu cosi che, camminando camminando, io, Manu e qualche altro escursionista capitato li un po’ per caso come noi, arrivammo sulla sponda del fiume. Il famoso fiume da attraversare.

Quel tronco inizialmente ci spiazzò, non ce l’aspettavamo proprio! Poi però ci venne da ridere e confesso che ci divertimmo un casino.

Dopo qualche tentennamento iniziale, una volta individuati i punti dove poggiare i piedi, riuscimmo a superare indenni il torrente, tra varie risate e un po di sana adrenalina.

Feci un video di tutta la traversata di Manu mentre io la incito a superare la “prova”.
A distanza di tempo sorrido ogni volta che lo riguardo, allegro come quando ero sulla sponda di quel fiume.

Un ricordo puro e divertente, quindi stupendo.

Ma le difficoltà non erano di certo finite! Superato indenni il fiume,  dovemmo affrontare una scalata parecchio ripida ed impegnativa. Fondamentali per noi fu la presenza di alcuni cavi ai quali aggrapparci.

Le foto rendono solo parzialmente l’idea della ripidità della salita. Nello scatto seguente è possibile percepire l’altezza finale raggiunta a fine scalata (lo sperone di roccia in alto a destra).

Glymur

Un percorso non facile, ma non impossibile e decisamente coinvolgente, per raggiungere, dopo circa un’ora di cammino, il punto più alto, da dove ammirare la cascata e tutta la strepitosa vallata.

Uno spettacolo mozzafiato…o quantomeno per chi non soffre troppo di vertigini!

Arrivati in cima, non potevamo non concludere con un bel cicchetto di limoncello, liquore che ci accompagnò durante tutte le nostre esplorazioni islandesi.

Questa era ahimè l’ultima,  il gran finale, che doveva essere quindi festeggiato al meglio.
Sebbene con un po’ di malinconia, sorseggiai lentamente e con gusto la nostra amata bevanda bionda, rilassato dopo tanta fatica, di fronte al paesaggio. Felice e soddisfatto. 

La discesa fu altrettanto impegnativa, ma conoscendo già a grandi linee il percorso fu più rapida e meno complicata. Anche l’attraversamento del fiume.

Non dico che fu un gioco da ragazzi, ma ci risultò molto più agevole.

Raggiunto il parcheggio e dopo un piccolo spuntino, ci rimettemmo alla guida.

Questa volta era davvero arrivato il momento di rientrare a Reykjavik.

Il tour intorno all’isola si era definitivamente concluso.

Tuttavia sostammo nella capitale solo un paio di ore, dalle cinque alle sette circa, e ne approfittammo per acquistare qualche piccolo regalino da riportare a casa.

Comprai delle simpatiche calzette con disegnati dei puffins per i miei nipoti, la mia immancabile calamita, e ci godemmo per l’ultima volta il centro colorato e simpatico della città, quel giorno pieno di persone e più variopinto del solito.

Due giorni prima si era svolto il pride, e tutte le strade e le vetrine erano piene zeppe di arcobaleni.

Ci fermammo a prendere un caffè  in un bar  lungo la Laugavegur, il corso principale.
Stanchi ma felici.

L’ultima notte la passammo in una piccola camera all’interno di un semplice ma efficiente appartamentino presso Sandgerði, un piccolo villaggio situato a meno di otto chilometri dall’ aeroporto di Keflavik, dato che il nostro volo per Londra era previsto alle 9 del mattino seguente.


15 Agosto 2018 

Ferragosto

Ricordo
che pioveva a dirotto quel mattino, e c’era tanto vento. 

Il termometro segnava 8 gradi.

Il mio zaino era pieno e le mie gambe pesanti.

La mia testa, stanca e ancora assonnata, era strabordante di pensieri, immagini, suoni, ricordi.
L’aereo decollò, e con lui la mia voglia di viaggiare, sempre più grande e inarrestabile.


Un viaggio che non dimenticherò facilmente.

Un on the road intenso, pieno di imprevisti.

Un cellulare perso, una visita in polizia, strade sbagliate e improponibili.

Dispersi nel nulla e più volte a secco di benzina, con la targa della nostra pandarella mezza staccata, e con l’ansia continua di perderla.


Un viaggio completamente imprevedibile.

Cosi come il vento gelido prima, il Sole alto e luminoso o la nebbia fittissima poi.
Il clima, questo sconosciuto, in continuo mutamento. Ti rincoglionisce ma allo stesso tempo ti rende vivo e partecipe della natura incontaminata nella quale ti trovi.


Un viaggio in cui sentirsi liberi.

Durante il quale se ti va bene puoi imbatterti in una casa ogni 20 km nei fiordi dell’Est, o nei bonus (supermercati) tutti chiusi nei giorni festivi, perché quando è festa funziona (giustamente) così. 


Un viaggio in solitudine, ma pieno di incontri.

A partire dalle pecore, libere e ovunque, dai cavalli liberi di tutti i colori ovunque, cigni incredibilmente ovunque, lavandini minuscoli e improponibili (e a volte inesistenti), autostoppisti e ciclisti meravigliosamente ovunque.


Un viaggio durante il quale la notte è praticamente assente, cosi come le tende alle finestre (santa mascherina per dormire che ho infilato all’ultimo nello zaino).


Ma soprattutto un viaggio pieno di colori, cascate, arcobaleni.

E di gente felice. Felice semplicemente con quello che la natura le ha donato.


Stress inesistente.

La calma.

Il silenzio.

Di fronte a questo incanto il freddo passa in secondo piano, e stravince la meraviglia e lo stupore.

L’ Islanda, la famosa isola dei vulcani, dei ghiacci, dei geysers, dei miti, delle
leggende e di tante altre meraviglie, non è solo il set di importanti
produzioni televisive e cinematografiche.

Non è un semplice collage di foto “strappalike” su instagram.


L’islanda esiste.

E’ reale, e dannatamente incredibile. E dobbiamo tenercela stretta.

Grazie Islanda. Impossibile non tornare presto da te.


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